Ad oggi nell’ambito delle disposizioni normative vigenti non esiste una previsione esplicita di obbligo di sorveglianza sanitaria per i lavoratori esposti al rischio da stress lavoro-correlato. La sorveglianza sanitaria, infatti, non costituisce una misura d’elezione per tale tipo di rischio, dovendo invece privilegiare gli opportuni interventi sull’organizzazione del lavoro rivolti a ridurre o limitare il rischio.
Senza dimenticare, tuttavia, che sono sempre possibili le visite mediche su richiesta del lavoratore, come previsto dall’art. 41 del Decreto legislativo 81/2008.
E dunque quale può essere il ruolo del medico competente in relazione a questo rischio?
Innanzitutto nelle aziende in cui è presente, il medico competente “oltre ad effettuare le visite mediche a richiesta dei lavoratori, deve collaborare con il datore di lavoro alla valutazione anche del rischio da stress lavoro-correlato e alla predisposizione delle misure di tutela”, come previsto dall’art. 25 del D.Lgs. 81/2008.
Collaborazione che collaborazione consiste in:
– partecipare al team di valutazione per l’identificazione dei gruppi omogenei;
– fornire i dati di propria competenza relativamente agli eventi sentinella;
– partecipare al team di valutazione per la compilazione delle check list osservazionali;
– applicare eventuali strumenti di valutazione approfondita del rischio (es. questionari) se in possesso di adeguata formazione;
– contribuire all’individuazione delle misure correttive, in particolare per i fattori organizzativi stressogeni che sono maggiormente collegati ad aspetti biologici (es. ritmi e turni di lavoro);
– partecipare alla gestione dei casi individuali che dovessero emergere sia come visite a richiesta, sia con altre modalità, secondo le procedure stabilite dall’azienda;
– partecipare ad iniziative aziendali di promozione della salute rispetto a patologie correlate allo stress, con particolare attenzione alle differenze di genere e di età, nell’ottica della responsabilità sociale dell’impresa”.
Il documento ricorda la distinzione tra tre diversi piani di attività:
– “raccolta, ai fini della valutazione preliminare del rischio, di alcuni eventi sentinella (richieste di visite, segnalazioni di lamentele…);
– valutazione delle condizioni di ipersuscettibilità individuale, ai fini dell’espressione del giudizio di idoneità;
– eventuale raccolta e valutazione epidemiologica di disturbi e segni clinici stress-correlati, ai fini della valutazione approfondita del rischio”.
Lasorveglianza sanitaria di lavoratori esposti a stress lavoro-correlato, per quanto non obbligatoria, può essere comunque “legittimamente attuata dal datore di lavoro, come misura di prevenzione secondaria, quando la valutazione dei rischi ne evidenzi la necessità, in relazione all’obbligo di affidare i compiti ai lavoratori tenendo conto delle loro capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e sicurezza” (art. 18, D.Lgs. 81/2008).
Ad esempio nel caso del rischio stress lavoro correlato “l’opportunità di attivare la sorveglianza sanitaria si può configurare quando, al termine dell’intero percorso di valutazione del rischio (valutazione preliminare, azioni correttive, valutazione approfondita, ulteriori misure di miglioramento) permane una condizione ineliminabile di stress potenzialmente dannosa”.
Il documento offre poi alcune informazioni relative al protocollo per la sorveglianza sanitaria e ai criteri per i giudizi di idoneità.
“Alla luce delle attuali conoscenze non appare opportuno inserire nella sorveglianza sanitaria indicatori di effetto subclinici (dosaggi ormonali) che non hanno un significato specifico. Utile invece ricorrere alla rilevazioni di disturbi o patologie stress-correlate, attraverso strumenti standardizzati di raccolta anamnestica, supportati, se del caso, da riscontri documentali o da accertamenti clinico-strumentali”.
Quando poi si riscontrino effetti negativi sulla salute dei lavoratori riferibili a condizioni di stress correlato all’attività lavorativa, “devono essere prioritariamente adottate misure correttive idonee a ridurre efficacemente il livello di rischio, evitando di medicalizzare gli interventi di prevenzione”.
In particolare “occorre evitare di far ricadere sul lavoratore, in termini di giudizio di idoneità, le conseguenza dell’inadeguatezza dell’organizzazione del lavoro”: è “l’organizzazione a non essere idonea e non il lavoratore”.
Il documento ricorda che esistono lavoratori ipersuscettibili al rischio stress lavoro correlato. Indicando che le condizioni di ipersuscettibilità sono “generalmente legate all’esistenza di patologie per le quali è noto che lo stress costituisce un fattore causale o aggravante”, viene infine proposta una tabella tratta da un documento di consenso della SIMLII del 2006 e relativa a disturbi e stati patologici correlabili a situazioni di stress:
– “disturbi dell’apparato cardiocircolatorio (ipertensione arteriosa, cardiopatia ischemica);
– disturbi gastrointestinali (alterazioni della funzione intestinale, ulcera peptica, pirosi, colite);
– disturbi dell’apparato riproduttivo (alterazioni del ritmo mestruale, amenorree);
– disturbi della sfera sessuale (impotenza, calo del desiderio);
– disturbi dell’apparato muscoloscheletrico (mialgie, dolori muscolo tensivi);
– disturbi dermatologici (arrossamenti, prurito, sudorazione, dermatiti, orticaria, psoriasi);
– disturbi del sonno (insonnia, incubi notturni, spossatezza al risveglio);
– disturbi neurologici (cefalee);
– disturbi psicologici – sfera emotivo/affettiva e intellettiva (ansia, depressione, attacchi di panico, irritabilità, apatia, crisi di pianto, disturbi della memoria, difficoltà di concentrazione)”.

Fonte: Punto Sicuro