Come SQ Più sostiene da anni, un nuovo manuale prodotto dall’ULSS 9 di Treviso ricorda come un documento di valutazione dei rischi non debba essere un esercizio di stile ma deve evidenziare chiaramente i problemi di sicurezza e le soluzioni da attuare.
Uno dei principali rischi per la valutazione dei rischi realizzata nei luoghi di lavoro è quello di essere un mero adempimento burocratico, come adempimento che guarda alla conformità normativa e non all’aderenza sostanziale ai concreti rischi lavorativi.
Per cercare di riflettere sul rapporto tra questa colonna portante del sistema prevenzionale, la valutazione del rischio, e il nostro concetto di “burocrazia”, torniamo oggi a sfogliare un capitolo (“Burocrazia e valutazione dei rischi”) del “ Manuale di autodifesa del datore di lavoro”, un documento elaborato dal Servizio Prevenzione Igiene e Sicurezza in Ambienti di Lavoro (SPISAL) dell’ Azienda ULSS 9 di Treviso. Un documento che, nasce dal disagio che lo SPISAL prova quando deve “adottare i provvedimenti sanzionatori previsti dalla normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro nei confronti di imprenditori che, in assoluta buona fede, pensavano di aver fatto tutto ciò che è necessario affidandosi a persone esperte, investendo risorse economiche anche notevoli senza ottenere i risultati attesi”.
Lo SPISAL indica infatti che “spesso chi scrive i documenti, che dovrebbero essere l’esplicitazione della valutazione, si esprime con elaborate previsioni omnicomprensive e con prescrizioni generiche applicabili a svariate situazioni (a volte sono le stesse degli articoli del DLgs 81/08)”.
Ma se il legislatore si esprime in modo generico, “è giustificato dal fatto che espone una regola o un concetto che deve poi essere applicato in svariate realtà; chi decide le misure di prevenzione da utilizzare in un ambiente aziendale, ben individuato e caratterizzato per il tipo di lavorazione svolta, non può essere generico nei contenuti”.
Dunque non ha senso utilizzare nel DVR un linguaggio normativo, generico: ad esempio la legge può dire “che si adotteranno DPI idonei perché non elenca in modo esaustivo tutte le situazioni ma il datore di lavoro deve confrontare i rischi (quelli residui, dopo aver adottato le protezioni collettive) presenti nella sua azienda con le caratteristiche delle varie tipologie di DPI e poi deve individuare quelli idonei e adeguati per ciascuna situazione, caratterizzandoli secondo i criteri di marcatura CE in modo che sia poi facile acquistare quelli ‘giusti’”.
E sempre riguardo al modo di scrivere la valutazione, si sottolinea che è dunque inutile “riportare nel documento di valutazione dei rischi quello che dice la legge”.
Riportare, anche quando non necessario, pedissequamente la normativa non solo è inutile, ma “comporta uno spreco di carta ed è dannoso perché riduce la fruibilità del documento che deve essere snello, agevole e facile da usare. Purtroppo, la proliferazione di pagine di questo tipo spesso serve soltanto a giustificare il costo di un documento che non vale ciò che viene fatto pagare al datore di lavoro”.
Un altro modo per snellire questi monumenti di carta è quello di evitare di “riportare in dettaglio nel documento di valutazione dei rischi il metodo di valutazione se questo è contenuto in una norma o in una linea guida validata”.
Differentemente il metodo “deve essere descritto, anche in dettaglio, se non in qualche modo ‘validato’ poiché il datore di lavoro ha l’onere di dimostrarne l’idoneità allo scopo”.
A questo proposito lo SPISAL ricorda le definizioni di norma tecnica, buona prassi, linea guida contenute nell‘art. 2 comma 1 – lett. u), v) e z) – del D.Lgs. 81/2008.
Infine, e torniamo al problema del costo della valutazione, riprendiamo un’altra frase significativa: il documento di valutazione dei rischi “deve essere utile per il datore di lavoro e deve ‘valere’ la spesa sostenuta per la sua redazione”.
Con riferimento a quanto indica l’articolo 28 del Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (D.Lgs. 81/2008), il documento di valutazione deve essere redatto con criteri di ‘semplicità, brevità e comprensibilità in modo da garantirne la completezza e l’idoneità quale strumento operativo di pianificazione degli interventi aziendali e di prevenzione’.
In questo senso “un lavoro ben fatto può richiedere impegno (e quindi spesa) ma la validità del prodotto consiste nell’utilità che ne trae il datore di lavoro; se non ricava indicazioni pratiche e utili per gestire la prevenzione, probabilmente dovrebbe chiedersi se il prodotto che acquista vale la spesa; sarebbe opportuno contrattare prima, con i consulenti, quello che si vuole avere e cioè uno strumento operativo con indicazioni precise e tecnicamente corrette che entrino nel merito dei problemi aziendali”.
A questo proposito lo SPISAL conclude ricordando che “se la produzione del documento e l’effettuazione della valutazione dei rischi vengono gestite in questo modo, il datore di lavoro ben presto ‘scoprirà’ che non può estraniarsi dal processo ma dovrà affrontarlo con continuità assieme ai suoi collaboratori”.
SQ Più da sempre sostiene quanto la sicurezza non debba essere considerata un costo per le aziende, ma bensì, un investimento.
Fonte: ULSS 9 Treviso, “Manuale di autodifesa del datore di lavoro”